Ci troviamo davanti a 25 selci, conservate in una teca di vetro, che risalgono al periodo preistorico, in particolare al Mesolitico (9600-5900 a.C.) e al Neolitico (5900-3600 a.C.).
La selce è una roccia sedimentaria che veniva scheggiata per ottenere degli strumenti taglienti e affilati, utili per cacciare, per tagliare la carne, per scuoiare gli animali e per conciare le pelli. Da questa roccia, infatti, si ricavavano lame, punte di freccia, raschiatori, motivo per il quale tutte le selci qui esposte hanno forme diverse. Hanno, inoltre, tonalità diverse di marrone che vanno dal rossiccio al dorato.
In Veneto, la selce si trova in diverse varietà sui Colli Euganei, sui Monti Berici e sui Lessini. È molto probabile che venisse lavorata direttamente in quest’area poiché sono stati trovati alcuni scarti, schegge e nuclei di selce non lavorati.
Nel Mesolitico, la popolazione non abitava stabilmente sul territorio, ma alcuni gruppi di persone nomadi percorreva la zona alla ricerca di cibo, cacciando la selvaggina con arco e frecce, pescando e raccogliendo frutti, bacche e radici. Solo nel corso del Neolitico, l’uomo diventò sedentario e iniziò a praticare l’agricoltura e ad allevare gli animali. Le selci riferibili a questo periodo provengono da rinvenimenti casuali effettuati in superficie e non da scavi archeologici. Per questo motivo, non siamo ancora in grado di descrivere come fossero i villaggi neolitici nel nostro territorio, ma sappiamo da altri contesti dell’Italia nord-orientale che in questo periodo i villaggi avevano capanne costruite con legno, fango e paglia e vi si svolgevano attività come la filatura e la tessitura, la macinatura dei cereali, la modellazione e la cottura del vasellame.